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Immagine del redattoreLuigi Gattone

Un’occasione persa

Amarezza: questa la prima reazione alle dimissioni di Draghi. Amarezza per un'occasione persa: checché ne pensino il Fatto Quotidiano o La Verità, è stato il primo Presidente di cui andare fieri da decenni.



Non ci sono parole, invece, per qualificare una delle peggiori classi politiche che l'Italia repubblicana ricordi.

Ma dopo il Papeete, la #resilienza, il Mattarella bis, cosa ci aspettavamo?


Non c'è da prendersela con gli "irresponsabili", non oggi almeno: non si diventa irresponsabili da un giorno all'altro. Il problema a monte è chi ha legittimato la mediocrazia, piegandosi ai dogmi del populismo.


A ben vedere, il naufragio della maggioranza era scritto. Il messianismo che ha avvolto Draghi dal suo arrivo a Chigi ha appannato le ambizioni, al limite della velleità (siamo in Italia), del governo (e le sue intrinseche debolezze).


Un governo di emergenza non sopravvive all'emergenza, come un'agenda riformista, necessariamente ostile ad alcune categorie e ai rispettivi patroni in aula, non poteva essere sostenuta da forze divise su tutto. Liberali e sussidiaristi. Conservatori e progressisti. Quaquaraqua e pragmatici. Un fritto misto in cui ognuno ha agito per tornaconto – era ovvio, a meno che qualcuno abbia avuto l'impressione di trovarsi davanti statisti lungimiranti e non personaggetti in cerca d'autore.


Quali scenari? Difficile pensare che Draghi si presterà ai calcoli politici, cercando legittimità nel marasma partitocratico – perché dovrebbe? La buona volontà ce l’ha messa.


Comunque, una maggioranza c'è: se un Re "non governa col 50+1", un capo politico può, e Draghi è un capo politico, non più un tecnico, certo non un Re. Marginalizzare populisti e sovranisti è teoricamente possibile – il “potenziale di coalizione”, per dirla con Sartori, dei 5 Stelle post scisma è notevolmente ridotto.


Per gli smaniosi di tornare al voto, le "elezionisubito" con stesso sistema istituzionale e legge elettorale sarebbero un remake del 2018, col corollario di inciuci e cambi di casacca: una Corazzata Potemkin insomma. È il parlamentarismo, bellezza!


La speranza è l'ultima a morire: in ogni caso, che ciò serva da monito, la prossima volta.


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