Ad un anno dall’insediamento di Javier Milei alla Casa Rosada, proviamo a fare un bilancio della situazione argentina prima e dopo l’avvento del suo nuovo leader. Prima di tutto, bisogna esaminare la situazione in cui il suo Paese versava prima del suo insediamento: dall’iperinflazione, alla disoccupazione, alla monetizzazione del deficit fiscale, dal debito elevato, all’impotenza della banca centrale e all’irresponsabilità della casta politica. Insomma, un contesto nel quale i bisogni dei cittadini sono molteplici e il tempo è poco per fare esperimenti.
Durante la sua campagna elettorale, Milei Si è più volte definito come ultraliberista: ha promesso di epurare la classe politica dalla corruzione e di eliminare la Banca Centrale, accusata di alimentare l'inflazione, nonché di sostituire il peso con il dollaro statunitense. Con una motosega assurta a simbolo dei tagli e delle politiche di austerity necessarie al risanamento del sistema economico, e altre espressioni diventate celebri; infatti, nell’agosto 2023 egli fece un video dove a suon di afuera aboliva dieci ministeri (1). Proposte e dialettica, di stampo populista e libertario, gli sono valse l’elezione alla Casa Rosada; senza dimenticare, oltre ai meriti di Milei, una larga fetta di elettorato dislluso e scontento che ha visto nel Peluca un simbolo anti-casta e un voto di protesta.
Prima di guardare all’ultimo anno nel dettaglio, è giusto ripartire dal principio, ricordando le parole del Presidente argentino durante la sua conferenza stampa inaugurale il 20 novembre 2023: "No hay alternativa, no hay plata" (2). Con queste parole si è letto come egli abbia voluto ricordare alla nazione la gravità della situazione economica argentina e la necessità di misure drastiche di austerità economica, che dopo un periodo di sacrifici avrebbero condotto ad un futuro più roseo.
I dati economici, come sempre, hanno una doppia faccia e bisogna tenere a mente che la coperta è corta. Gli indici mostrano come dal punto vista macroeconomico gli sforzi fatti fino ad ora stiano dando dei risultati, ma altri mostrano il costo sociale di queste politiche. Ad esempio, il tasso di povertà in Argentina ha raggiunto il 52,9% durante i primi sei mesi del governo dell’ex economista, il più alto dal 2003 e in aumento dell'11,2% rispetto al secondo semestre del 2023. (3) Questo indicatore, come quello del potere d'acquisto dei consumatori non è ancora stato stabilizzato.
L’altra faccia della medaglia mostra, però, che l'inflazione sta rallentando, suscitando un cauto ottimismo economico: il tasso di inflazione mensile in Argentina è rallentato al 2,4% a novembre, il tasso più basso negli ultimi quattro anni. In altre parole, le misure di austerità del governo contribuiscono a contenere prezzi e deficit. Tuttavia, l'inflazione rimane straordinariamente alta su base annua, con un aumento del 166% rispetto a novembre 2024. (4) Un altro dato significativo è la bilancia commerciale: il 2023 si chiudeva con un disavanzo di 6 miliardi di dollari, nel 2024 si registra una crescita di 18 miliardi di dollari alla luce di un incremento delle esportazioni, facilitate dalle svalutazioni del Peso. Era dal 2015 che il paese sudamericano non segnava un saldo di bilancio attivo. (5).
Anche il tasso di gradimento del Presidente rimane stabile. La promessa ai suoi cittadini che la situazione sarebbe migliorata dopo aver superato la crisi, dimostra come il consenso si costruisca con verità, coerenza e chiarezza, anche in condizioni avverse, oltre a riportare la proposta politica in un orizzonte di lungo periodo, e non con provvedimenti che non guardano oltre la successiva elezione – qualcosa che nel Vecchio Continente sembriamo aver dimenticato del tutto.
La scommessa del leader argentino è di avere prossimamente dati economici che rendano il suo paese più attraente agli investimenti stranieri e correggere il trend sulla povertà. Questi possono essere facilitati grazie al posizionamento che ha assunto a livello internazionale, a favore del commercio e di assoluta vicinanza agli Stati Uniti d’America – rifiutando l’adesione ai BRICS voluta dal suo predecessore – e soprattutto al Presidente eletto Donald Trump – e ad Elon Musk. Quest’ultimo, forse, potrebbe essere interessato alle risorse naturali presenti sul suolo argentino come il litio, fondamentale per le batterie delle EVs di Tesla.
Potrebbero rendere l’Argentina attrattiva agli investimenti esteri anche le numerose privatizzazioni volute da Milei, come il gigante dell'energia Enarsa, che controlla le tre centrali nucleari del Paese, e la società di distribuzione dell'acqua nell'area metropolitana di Buenos Aires, Aysa. (6) È anche da considerare che a giugno è passata la legge sulle privatizzazioni, la quale ha ridimensionato il progetto iniziale del Presidente: dalla quarantina si è passati a dieci. Inoltre, il numero di articoli nel disegno di legge da 600 è passato 238, visti i compromessi che egli ha dovuto fare per avere i voti necessari al Congresso. All’interno di queste vi sono incentivi, definiti da alcuni commentatori come controversi, per gli investimenti stranieri superiori a 200 milioni di dollari, con benefici fiscali e doganali dalla durata trentennale. È anche emerso che Aerolineas Argentinas (la compagnia aerea di bandiera), le poste e il servizio pubblico radiotelevisivo sono stati rimossi dall'elenco delle privatizzazioni. (7)
Il prossimo grande test per Milei arriverà nell'ottobre 2025, quando in Argentina si terranno le elezioni di midterm. Questo potrebbe rivelarsi significativo per capire se la sua rivoluzione di un governo ridotto e minimalista potrà continuare o perderà slancio. (8) Trarre già delle conclusioni rimane difficile e probabilmente prematuro, non solo per la complessità del Paese, ma anche per gli indici di performance. Potrebbe diventare decisivo il ruolo degli investimenti esteri, arriveranno? E se si, in che misura?
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