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Immagine del redattoreJakob Joseph Burkhart

Speciale: nuove sfide al commercio internazionale.



Recentemente pochi di noi hanno letto del dispiegamento di navi militari americane vicino allo Yemen per proteggere le navi mercantili. Che ci sia del caos in quella regione geografica non è una novità, la presenza di pirati è stato un problema in passato – anche recente. Questa volta però sono i ribelli (gli Houthi) dello Yemen che attaccano le navi. Questi eventi sarebbero da inquadrare nella guerra che è in corso in Israele, infatti i ribelli ritengono che lo Stato di Israele sia occupante. Non sarebbe nemmeno scorretto inquadrare questi attacchi nel disimpegno americano dalla regione. Inoltre, non è da escludere che diventi un nuovo fronte di guerra e sicuramente se questo fosse il caso il commercio internazionale - che è prevalentemente via mare - ne risentirebbe. È notizia non di poco conto che le società mercantili Maersk, Hapag-Lloyd, Cma Cgm e Msc, infatti, hanno dato istruzione alle loro portacontainer di non passare lo stretto di Bab al-Mandeb, che è la porta d’accesso al Mar Rosso. Nel suo ultimo viaggio in Israele, il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, è stato chiaro: “Gli Houthi sono una minaccia da affrontare». Diversi media hanno detto che da tempo Washington sta facendo recapitare alla milizia yemenita (legata all’Iran) dei messaggi per farla desistere dagli attacchi. Perché ci dovrebbe riguardare? Beh se le società mercantili ritengono che passare per Bab-el-Mandeb (cruciale choke point del commercio) e quindi per Suez e il Canale di Sicilia, il Mediterraneo e il nostro paese perderebbero voce in capitolo su alcune questioni; scegliendo di passare per il Sud Africa. D’altronde da quando è stato aperto il Canale di Suez è come se il Mediterraneo si fosse allargato, avendo la possibilità di espandersi fino all’Oceano Indiano. Quello che il nostro governo può fare è di partecipare ad eventuali missioni per contrastare i ribelli, andando a garantire la sicurezza di navigazione nel Mar Rosso. Ieri mattina l’Italia ha annunciato la sua adesione alla coalizione internazionale, organizzata da Washington.




Di recente abbiamo iniziato ad accennare che le rotte commerciali navali non potrebbero più passare per il Mediterraneo, con delle ripercussioni in termini di costi e tempo nel commercio. Queste due variabili avrebbero un impatto su noi consumatori: costi più alti, che potrebbe causare un aumento dell’inflazione, e probabilmente ritardi nelle consegne. Come detto nell’articolo precedente: il passaggio per il Mar Rosso è nevralgico per il passaggio di merci tra Asia ed Europa. Partiamo dalle cose semplici, il Brent (indice di riferimento del petrolio per noi europei) ha superato gli 80 dollari al barile, perché la situazione nel Mar Rosso preoccupa. L’aumento è seguito da un calo che è iniziato dall’attacco di Hamas. Saremo noi europei ad avere più problemi se la situazione degenera. In termini di tempo la circumnavigazione dell’Africa rispetto a Suez significa 10 giorni in più di navigazione partendo da Singapore, 36 contro 26, secondo Reuters. Secondo l’Autorità del Canale di Suez dal 19/11 al 17/12 55 navi sono state deviate, non sono tante visto che ne sono transitate 2128. L’idea è comunque che il numero potrebbe diminuire se le navi commerciali non vengono protette o che la sicurezza a livello complessivo non venga garantita. Confitarma ha spiegato un concetto fondamentale: “un “mare insicuro significa mare costoso: quando un’area di mare entra in una fase di insicurezza, i costi delle merci che passano di lì aumentano per tutti, in primis per i consumatori finali.” Il mercato negli ultimi giorni ha accolto bene l’intervento internazionale volto a risolvere questa situazione. Ricordiamo che il mercato ragiona in base alle aspettative. Ma una situazione del genere le abbiamo già viste, nel 2021 una nave si è incagliata nel canale e per i pirati nei primi anni 2000. Ribadiamo comunque questo concetto: un calo del traffico a Suez significa minor importanza per il Mediterraneo. Come detto da Assoporti, i porti italiani sono preoccupati per un calo del traffico.




Fino ad ora abbiamo spiegato gli effetti per quanto riguarda la rotta della circumnavigazione dell’Africa in alternativa al canale di Suez, ma se invece la rotta artica prendesse piede? Chiariamoci: l’intera rotta si trova in acque artiche dentro la zona esclusiva economica russa. Alcune tratte sono libere dal ghiaccio per soli due mesi all’anno, ma lo scioglimento dei ghiacci sta rendendo questa rotta più praticabile, anche se l’Osservatorio Artico in un articolo dell’8/5/2023 ha detto che questa rotta per via dell’accumulo di ghiaccio sarà più difficile del previsto alla luce del consolidamento dei ghiacci. Però un recente articolo de Il Giornale di ieri spiega che la Cina, attore apparentemente non coinvolto nel conflitto in Medio Oriente, può sfruttare due assi quasi inediti, coincidenti con due rotte commerciali che potrebbero bypassare Suez: la rotta artica e la Nuova Via della Seta. La rotta artica, inoltre, consentirebbe anche di saltare lo Stretto di Malacca che potrebbe essere chiuso in caso di conflitto con Washington. Teoreticamente la rotta Artica potrebbe ridurre i tempi di spedizione tra la Cina e l’Ue rispetto al Canale di Suez, riducendo i costi, il consumo di carburante e l’inquinamento. Tutto questo potrebbe avvantaggiare Mosca che avrebbe il totale controllo di questa rotta, una possibile arma diplomatica da non sottovalutare. Dunque, se non si risolve velocemente ed efficacemente il Mediterraneo rischierebbe di essere tagliato fuori dal commercio internazionale marittimo, il che significherebbe un minor peso per l’Europa.

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