top of page
Immagine del redattoreLuigi Gattone

Sergio è di tutti.

Il 29 aprile 1975, dopo 47 giorni di agonia, spirava Sergio Ramelli.



Lo studente milanese, simpatizzante del Fronte della Gioventù, cominciò ad essere perseguitato dopo aver scritto un tema in cui denunciava l'operato delle Brigate Rosse. Il suo testo venne reso pubblico nell'istituto, attirando sul ragazzo l'odio verbale e la violenza da parte degli altri studenti e costringendolo a cambiare scuola.


Il 13 marzo, mentre rincasava in Via Ettore Paladini, Ramelli fu aggredito da un commando di eversivi di sinistra: fu colpito ripetutamente al volto con delle chiavi inglesi (le famigerate Hazet 36), e lasciato in fin di vita sul marciapiede.


Il processo agli assassini cominciò solo nel 1987: dopo aver esplorato diverse piste, vennero accusati dell'omicidio 5 membri di Avanguardia Operaia, allora studenti di Medicina. Gli aggressori vennero condannati a pene tra gli 11 e i 15 anni. Nonostante i ricorsi dell'accusa, non venne mai riconosciuta la premeditazione dell'omicidio.


Di Sergio Ramelli resta l'esempio di un giovane che ha fatto della passione politica la bussola della propria vita. Un giovane nel quale, anche oggi, chiunque può riconoscersi: troppo spesso, invece, la storia di Sergio e quelle di tanti ragazzi come lui, vengono strumentalizzate e rivendicate come “di proprietà” delle diverse fazioni politiche.


La violenza degli Anni di Piombo e il sangue delle lotte politicizzate devono essere il fondamento di una coscienza nazionale basata sulla memoria collettiva.

Bisogna ribadire con forza, a 50 anni da quei tragici avvenimenti, i valori della tolleranza e del dialogo, della comprensione dell’altro e del confronto democratico: valori la cui negazione ha prodotto una delle pagine più oscure della nostra storia.

Bisogna essere uniti nella memoria, nel rispetto, nella condanna unanime di tutti gli atti di violenza politica, nel rifiuto di tutti gli estremismi, da qualsiasi parte provengano: solo in questo modo, tutte le vittime innocenti di quegli anni, senza distinzioni di colore politico, non lo saranno state invano.

Oltre le bandiere, le strumentalizzazioni, la memoria è patrimonio di tutti: Sergio è di tutti.


Comments


bottom of page