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Immagine del redattoreMichele Carrani

Scaramucce elettorali.

Il 2023 è stato un anno praticamente privo di emozioni elettorali, di tutt’altro conto è e sarà il 2024.

All’orizzonte i partiti italiani vedono varie sfide delle quali saranno protagonisti: dai comuni all’Europa.



Se per le elezioni europee del prossimo 9 giugno è ancora relativamente presto discutere, il discorso non vale per la tornata elettiva che vedrà coinvolte varie regioni italiane. Escluso l’Abruzzo – in cui si voterà il 10 marzo ma nel quale il “destra-centro” ha deciso di riconfermare la candidatura del Presidente uscente Marco Marsilio – al valzer delle elezioni chiamate al voto ci sono: Basilicata, Piemonte, Sardegna e Umbria.

La situazione all’ombra del Gennargentu sembra tutt’altro che semplice. La Lega di Matteo Salvini punta a confermare il Presidente uscente Christian Solinas, leader del Partito Sardo d’Azione ma di diverso parere è la Premier Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia, infatti, ha fatto emergere di voler candidare Paolo Truzzu, Sindaco della città di Cagliari.

Questo contenzioso è fondamentale per sbloccare i restanti candidati: ad ora sono bloccate le candidature dei forzisti Alberto Cirio e Vito Bardi, Presidenti uscenti rispettivamente di Piemonte e Basilicata.

Il Ministro Lollobrigida ha comunicato che in Sardegna Fratelli d’Italia ha già il suo candidato ed è Truzzu, il quale migliorerà il governo regionale e ha aggiunto che il partito potrebbe chiedere agli alleati anche le candidature di proprie figure per le elezioni future di regioni in cui ad ora i Presidenti sono di sinistra.

C’è da dire che, in questo caso, la rabbia del Carroccio è tutt’altro che immotivata. La coalizione di centrodestra è sopravvissuta ad ogni tornata elettorale grazie anche alla suddivisione dei ruoli e dei candidati. Il modus operandi del primo partito di governo è ambizioso quanto rischioso. Diviene corretto anche ricordare che al tempo della Lega al 36%, Matteo Salvini non ha mai rimescolato le carte.

Questo attrito, questo astio interno all’esecutivo dimostra ancor più che i maggiori rischi di tenuta per la maggioranza non derivano dall’opposizione bensì dalla maggioranza stessa.

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