In Israele, da settimane la situazione appare critica: il governo Nethanyau, subentrato ad una coalizione di forze anti-Nethanyau che aveva portato il paese ad uno stallo, viene duramente contestato da diversi segmenti sociali a causa di politiche potenzialmente lesive dello stato di diritto. Per la 14esima settimana consecutiva, oltre 100mila manifestanti sono scesi in piazza.
Sotto tensione anche i rapporti con la comunità palestinese, anche se gli episodi di violenza nella Moschea di Al Aqsa non sono dissimili rispetto a quelli degli anni passati. Soprattutto durante il periodo del Ramadan e della Pesah ebraica, gli animi si scaldano e i disordini sono frequentissimi: due anni fa, la contestazione assunse le proporzioni di una “nuova intifada”, e si raggiunse il picco più alto nell’escalation tra Gaza e Israele.
Nell’ultima settimana, sono intervenuti nel conflitto Libano e Siria a fianco di Hamas, con numerosi attacchi missilistici verso Israele – dal Libano, mai così tanti dalla guerra del 2006. Le forze politiche israeliane, dopo il vile attentato terroristico subito, in cui ha perso la vita il nostro connazionale Alessandro Parini, si sono ricompattate attorno a Nethanyau, che ora promette vendetta. Nel mentre, la Siria continua il processo di normalizzazione con gli altri paesi arabi, e l’Iran sostiene la necessità di ricompattare il mondo islamico contro Israele.
In uno scenario già tesissimo, si riverberano le conseguenze dell’invasione dell’Ucraina, soprattutto nei rapporti tra Mosca, Tel Aviv e Teheran; in più, la partita è aperta agli interessi diplomatici e strategici della Cina.
La polveriera mediorientale, è più che mai pronta ad esplodere.
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