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Immagine del redattoreTommaso Rossi

Legge mediocre ma almeno politica.

La legge di bilancio è stata definitivamente approvata giovedì 29 ricorrendo ancora, per l’ennesima volta, ad un voto di fiducia, strumento usato, abusato e martoriato da alcuni anni a questa parte (possibile che non si riesca, con una maggioranza solida, a dover utilizzare ancora una volta questo metodo?).

Tanti gli interrogativi che pone, alcuni di merito ed altri di metodo. Si parta però da una constatazione: i tempi erano – e rimangono – veramente stretti per la formulazione di una legge più articolata, e i conti pubblici – già dissestati da anni di politiche scellerate, da Craxi ad oggi, salvo piccole parentesi – non permettevano ulteriori margini di manovra. E menomale, aggiungiamo. Perché se le premesse erano queste, non osiamo immaginare con altri miliardi. Ma procediamo con ordine.

Essa corregge i conti pubblici 2023 per circa 35 miliardi, di cui 21 aumentando il deficit (al 4,5% del Pil, rispetto a un andamento tendenziale del 3,4%). Come ricordato da un ottimo articolo apparso oggi sul corriere di Enrico Marro e Claudia Voltattorni, le altre principali misure sono il taglio del cuneo fiscale sulle retribuzioni fino a 35 mila euro lordi (4,2 miliardi di euro); due miliardi in più al Fondo sanitario nazionale; 1,4 miliardi per i contratti del pubblico impiego; 700 milioni per Quota 103 e le altre misure di pensionamento anticipato; 800 milioni per il Fondo di garanzia delle Pmi.

 

Sicuramente tra gli aspetti positivi c’è finalmente un primo abbozzo di taglio sul cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, martoriati dalle tasse in questo paese. Una categoria che ha un tasso di evasione fiscale pari a neanche il 2% (si pensi alle partite IVA che, pur avendo – come chiunque da noi – una tassazione elevata, presenta tassi di evasione superiori al 66%. Il sessantasei percento!) meritava probabilmente qualcosa di più, ma già col governo Draghi – e il taglio del cuneo fino a 20.000 euro – si era tracciata una strada più che positiva. L’obiettivo a medioterminedel governo è di portare questo taglio a 5 punti percentuali. Saremo vigili e speranzosi.

 

Veniamo ora alle due misure della discordia targate centro destra (più Salvini e Berlusconi, ma poco importa): flat tax e quota 100. Quando verrà il giorno in cui ci verrà dimostrato che aumentando la platea di beneficiari di questa sedicente flat tax (che per nome stesso dovrebbe essere ad una aliquota, e non è così) le entrate per l’erario aumenteranno – o almeno saranno pareggiate – allora, e solo allora, si potrà discutere di una diminuzione delle imposte così alta per una sola categoria di reddito. Un lavoratore dipendente che guadagna 85mila euro paga 37mila euro di tasse (ripetiamo, con una evasione del 2%), una partita iva con lo stesso reddito neanche 13mila (con un tasso di evasione superiore al 66%). Dov’è il senso? Dov’è la razionalità? Qual è il fine? Favorire ancora, ed ancora, ed ancora, ed ancora chi evade. Come sempre in questo paese. A voi le conclusioni.Per quota 103 stesso discorso. Una ipoteca sul futuro dei giovani (ancora una volta senza misure) che costa allo stato centinaia di milioni all’anno.

 

Diverso, invece, è la questione relativo all’ennesimo condono per le cartelle sotto i 1000 euro (per quelle sopra è una rateizzazione, per quanto ne dica il Partito Democratico). Per lo stato il costo di riscossione supera il valore della riscossione stessa. Qui il principio “chi ha pagato ha fatto male” ha vinto, ancora, su “non pago perché tanto non me li chiederanno mai”. Ma il punto centrale è un altro: come può uno stato come il nostro avere un sistema di riscossione erariale così farraginoso?

 

Capitolo energia. È stato fatto tanto, sia da Draghi che dalla Meloni, per contrastare un caro energia frutto del sanguinoso conflitto russo-ucraino. Basta? Probabilmente questi soldi basteranno solo per il primo trimestre del prossimo anno, ma si spera che con il price cap – che comunque ha già dimostrato di avere non pochi problemi – la situazione si stabilizzi.

 

Un aspetto positivo però c’è, e trascende il contenuto della manovra. È finalmente una manovra politica, frutto di ciò che è stato deciso il 25 settembre in cabina elettorale. È una manovra fatta male, probabilmente sbagliata e con alcune misure che fanno ribrezzo (altre certamente positive) ma che ha un connotato politico molto forte. Ciò che era scritto nel programma elettorale (in parte, ovviamente. Siamo pur sempre al 3 mese di governo) si sta realizzando, che è un male per i conti pubblici, ma è un bene per la riappropriazione di una materia che la sfera del “politico” aveva completamente lasciato alla tecnica, alla ragioneria e alla finanza.

Ora è necessario solo attendere che le scelte politiche prendano la giusta strada, ma non ci sembra questo il caso.

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