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Immagine del redattoreEdoardo Cei

La Svezia sceglie l’Occidente.

.La neutralità svedese nel dopoguerra e negli anni della «guerra fredda»

Le origini della ormai passata neutralità svedese risalgono al XIX secolo. Questa sua inclinazione al non allineamento non è dovuta a disposizioni costituzionali e tantomeno ad accordi stipulati a livello internazionale, bensì a elementi storici, strategici e geografici. A seguito della Seconda guerra mondiale, nella quale il paese scandinavo era rimasto neutrale, sia l’opinione pubblica che il governo optarono per la neutralità che aveva contraddistinto il paese nei decenni precedenti, come evidenziato dalla linea seguita dal ministro degli esteri Östen Undén. Quest’ultimo respinse le avances delle potenze occidentali in merito ad una adesione alla NATO, ribadendo la sua politica di non allineamento anche quando l’URSS sottoscrisse un trattato di amicizia e mutua difesa con la Finlandia. Secondo numerosi storici ed analisti, il governo svedese decise di intraprendere questa decisione anche perché, in caso di adesione all’Alleanza Atlantica, si sarebbe potuta delineare una occupazione sovietica della Finlandia, e quindi, la presenza di un attore globale minaccioso in prossimità dei propri confini nazionali.

Allo stesso tempo, Stoccolma instaurò dei dialoghi con Danimarca e Norvegia per una eventuale alleanza militare scandinava, la quale poteva contare sulla assoluta capacità della marina svedese, considerata la quarta al mondo per tecnologia ed effettivi, e su degli eserciti abbastanza equipaggiati. Questa proposta venne però rifiutata dai vicini scandinavi, i quali sarebbero entrati nella NATO nel giro di pochi anni. Proprio a seguito dei falliti colloqui diplomatici, la Svezia iniziò ad intrattenere degli attivi contatti con il sistema di difesa occidentale, sfruttando però una cosiddetta “politica di equilibrio” tra integrazione nell’Alleanza e controllo sull’azione di quest’ultima, così da rendere la scelta della neutralità più credibile agli occhi della popolazione.



La posizione di non allineamento e di sicurezza autonoma seguita dalla Svezia rimase incontrastata per i due decenni seguenti, anche se, soprattutto negli anni Sessanta con il Premier socialdemocratico Olof Palme e la sua politica estera di stampo realista, questa venne ridefinita a causa dell’attivismo voluto dal governo e generato dallo scacchiere internazionale. La situazione sembrava potesse mutare negli anni Ottanta, soprattutto quando il Parlamento, a seguito di diverse intrusioni di minisommergibili sovietici, decise di avviare un programma di difesa sottomarina, il quale prevedeva anche la modifica delle regole di ingaggio della marina militare. Tuttavia, dalla metà degli anni ’70 fino alla fine degli anni ’80, le spese militari di Stoccolma diminuirono a seguito di una progressiva riduzione degli effettivi militari.

I rapporti con la nato dal crollo dell’URSS a oggi

All'inizio degli anni Novanta, dopo il collasso dell'Unione Sovietica, emerse da documenti ufficiali che la Svezia, pur mantenendo la sua posizione di neutralità ufficiale, stipulò un accordo segreto che prevedeva un intervento militare occidentale in caso di conflitto per garantirne la sicurezza. In questa prospettiva, le Forze armate svedesi sarebbero state incaricate di resistere fino all'arrivo delle forze della NATO per fornire sostegno. Questo effettivamente implicò l’esistenza di legami clandestini con il sistema securitario occidentale. Il cambiamento del quadro geopolitico portò a una sostanziale revisione non solo della politica estera svedese, ma anche del concetto stesso di neutralità, tant’è che il governo guidato da Carl Bildt propose la cosiddetta "1992 Formula", segnando un cambiamento fondamentale nel modo in cui la neutralità veniva considerata: in caso di conflitto, infatti, non era più considerata come un dato inevitabile, ma veniva considerata come un’opzione tra le tante. Tre anni dopo la Svezia entrò a far parte dell’UE, aderendo come osservatore all’Unione europea occidentale e venendo successivamente coinvolta nei programmi ed esercitazioni NATO. Nonostante ciò, la Svezia non aveva intenzione di diventare un membro effettivo dell’alleanza atlantica per varie ragioni, come la concezione popolare che la neutralità avesse garantito la sopravvivenza della nazione durante i conflitti del XX secolo e la volontà di mantenere la più completa indipendenza in politica estera. Oltre a ciò, vari analisti ritenevano che non esistessero immediati pericoli per la sicurezza svedese.

Nonostante gli inizi del XXI secolo apparissero come favorevoli al mantenimento del non allineamento, dopo che il Cremlino iniziò a proporre una politica estera più assertiva e antioccidentale, l'atteggiamento della Svezia cambiò radicalmente. La percezione della Russia come minaccia alla sicurezza nazionale crebbe, specialmente dopo la crisi in Ucraina del 2014. Di fronte a questa nuova realtà, i piani militari svedesi dovettero adattarsi al cambiamento del quadro strategico, tant’è che otto anni fa, il ministro della Difesa Peter Hultqvist e il capo di Stato Maggiore Micael Bydén elaborarono la "Dottrina Hultqvist", mirata a potenziare le capacità difensive del paese e a intensificare la cooperazione regionale con Finlandia, Stati Uniti e NATO, oltre che a reintrodurre il servizio militare obbligatorio. Dopo poco tempo Bydén sottolineò la necessità di aumentare il budget per la difesa di almeno un miliardo di euro fino al 2021, arrivando, in un breve periodo, ad omologarsi alla percentuale di PIL da destinare alla difesa necessario per l’adesione alla NATO. Sempre secondo il capo di stato maggiore svedese, senza questo aumento, le già limitate capacità di difesa territoriale si sarebbero ulteriormente ridotte e, per garantire un adeguato livello di deterrenza, il bilancio dovrebbe più che raddoppiare.

Gli effetti della crisi ucraina: dall’avvicinamento alla definitiva adesione alla NATO

Rimasta un argomento divisivo sia per l’opinione pubblica che per le forze politiche svedesi, la prospettiva dell’adesione della Svezia alla NATO con lo scoppio del conflitto in Ucraina è andata però guadagnando progressivamente consenso, tanto che il 18 maggio 2022 il governo di minoranza guidato dalla Premier socialdemocratica Magdalena Andersson ha formalmente presentato la domanda di ammissione all’Alleanza del nordatlantico. La reazione del Cremlino davanti al nuovo quadro strategico che si sarebbe creato nel Baltico con l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella NATO è stata quantomai ambigua. Infatti, se da un lato l’ex Viceministro degli esteri russo Ryabkov ha affermato che la NATO non deve farsi illusioni che la Russia possa sopportare l’adesione di Svezia e Finlandia all’alleanza, dall’altro Putin ha affermato come l’adesione di Helsinki e Stoccolma non costituisce un pericolo diretto per la Russia, sottolineando però che Mosca risponderà qualora venissero installate delle postazioni militari all’interno dei territori.

Nonostante ciò, l’entrata svedese nell’Alleanza Atlantica non ha rischiato di essere compromessa dalla minaccia russa: invece, è stata ostacolata da due Stati membri come Turchia e Ungheria. Stoccolma negli ultimi anni non ha goduto di ottimi rapporti con Ankara per due sostanziali ragioni: l’applicazione di un embargo svedese sulle armi dopo un’operazione turca contro i movimenti ribelli curdi nel 2019, e l’accusa da parte di Erdogan di dare rifugio a miliziani estremisti, visto che il territorio scandinavo, a causa delle sue morbide politiche di immigrazione, accoglieva decine di membri del Partito Curdo dei Lavoratori (PKK), considerato organizzazione terroristica dal Sultano. Nonostante le diverse difficoltà negoziali, il parlamento turco ha alla fine acconsentito alla ratifica, anche in virtù del consenso di Biden ad un accordo turco-statunitense sugli F-16.

L’Ungheria, d’altra parte, ha ostacolato l’adesione svedese per altri motivi politici. La Svezia, così come gli altri stati scandinavi, pone da sempre particolare attenzione all’ottemperanza dei principi democratici, e a seguito di varie riforme ritenute illiberali varate dal governo Orban, ha accusato l’Ungheria di non rispettare lo stato di diritto, definendola uno stato retrogrado e razzista. Tre settimane fa, però, lo scontro diplomatico è scemato e il parlamento di Budapest ha acconsentito alla ratifica dell’accordo. La Svezia non è più neutrale e ha scelto di stare con l’Occidente libero.


FONTI

«Scandinavian Journal of History», Vol. 37, No. 2, Anno 2012, pagg. 221-229

The hidden rationality of Sweden’s policy of neutrality during the Cold War, pubblicato su «Cold War History», Vol. 14, No. 2, Anno 2014, pagg. 175-194.

Rivista marittima Luglio-Agosto 2022

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