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Immagine del redattoreTommaso Rossi

La strage di Piazza Fontana.

Il 12 Dicembre di 53 anni fa Milano venne colpita dal primo vero atroce attentato del dopoguerra. La strage di Piazza Fontana non fu solamente l’inizio della stagione stragista, fu soprattutto il primo atto di quella lunga affiliazione tra realtà neofasciste extraparlamentari e servizi segreti.

Alle 16.30 del 12 Dicembre del 1969 una bomba squarciò il velo della Banca Nazionale della Agricoltura di Milano, 17 furono le vittime e 88 i feriti. Un lungo filone di indagini, condotto tra le più immani difficoltà dal giudice Salvini, portarono, passo dopo passo, ad appurare la colpevolezza di apparati deviati dello stato, con la complicità materiale di elementi di Ordine Nuovo, mai condannati per il principio di ne bis in idem.

La strage di Piazza Fontana, come ricordato oggi dal Presidente Mattarella, “Fu una delle terribili prove da cui la Repubblica seppe uscire rafforzata nei suoi valori costituzionali e nell'unità del suo popolo”. Una prova che ha dimostrato però anche come lo Stato, quello stesso stato che ha permesso una lunga stagione di stragi, fosse fragile e impotente di fronte ad una frattura generazionale che colpì migliaia di italiani. Uno stato che non riuscì a comprendere (o forse riuscì meglio di tutti) come su di una intera generazione gravasse una profonda situazione di sofferenza verso un sistema politico istituzionale che non dava risposte. Avanguardia Nazionale, le Brigate Rosse, Terza Posizione e Ordine nuovo, per citarne alcuni, furono solamente il frutto di uno stato che non riuscì a comprendere i disagi che una partitocrazia imperante aveva portato nei cuori e negli animi di migliaia di Giovani.

La strage di piazza Fontana fu sicuramente il primo attentato di matrice neofascista. O meglio, la mano (probabilmente) e la mente furono neofascisti, l’ideologo va ricercato nello Stato.

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