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Immagine del redattoreJakob Joseph Burkhart

La scoccata del sultano.

Sembra ormai dato per certo lo scontro tra Israele e Turchia (a livello diplomatico) dopo le dichiarazioni aggressive verso lo Stato ebraico di Erdogan che si è schierato platealmente dalla parte di Hamas, definendo i miliziani dei “liberatori” e attaccando con parole durissime l’ingresso via terra delle truppe di Gerusalemme.

A detta di Erdogan, la Turchia è al lavoro per dichiarare formalmente Israele come uno “Stato criminale di guerra”, allargando le accuse all’Occidente – seppur dentro la NATO – bollato come “principale responsabile del massacro” a Gaza. A Gerusalemme queste parole non sono state digerite, infatti ministro degli Esteri israeliano ha ordinato il rientro del corpo diplomatico.


Ma come mai queste parole sono così importanti?

Beh, innanzitutto oltre al Qatar e all’Egitto che si sono proposti per la mediazione, anche la Turchia vorrebbe ritagliarsi un suo spazio in questa cornice. C’è da aggiungere che Ankara è un garante della sicurezza del Qatar (vedi 2017 con l’Arabia Saudita), in cambio Doha è uno dei principali sponsor delle iniziative geopolitiche della Turchia nella regione. Il Qatar, inoltre, è uno dei principali finanziatori del popolo palestinese, soprattutto per impedire che il tessuto sociale regga. Oltre ciò, andrebbe chiarito il ruolo del Qatar: a differenza di Riyad, Doha non ha nessuna intenzione di normalizzare i rapporti con Israele.


La Turchia, oltre ad avere questa collaborazione mutualmente conveniente, ha un rapporto oscillante con l’Iran (arcinemica di Israele), infatti i due player sognano di guidare la medesima regione e sono collocati in diversi ‘mondi’. In altre parole, sono sia competitor ma anche ‘partner’.


Si potrebbe quindi scendere all’ipotesi che Ankara non voglia perdere terreno su questa questione con Teheran; anche perché Erdogan non ha mai nascosto l’ambizione di far diventare la Turchia come leader nel mondo islamico.


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