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Immagine del redattoreLuigi Gattone

La fine del Rais.

Il 20 ottobre di 11 anni fa, Mu’ammar Gheddafi viene scovato nei pressi di Sirte (sua città natale) dove era nascosto dall’inizio della guerra civile, e quindi linciato dalla folla ed ucciso – si dice, alla presenza di agenti segreti francesi ed inglesi.

Il Colonnello, come veniva chiamato Gheddafi, salì al potere il 1° Settembre 1969, quando, alla testa di un gruppo di Ufficiali Liberi, depose il Re Idris I, giudicato troppo servile verso gli Occidentali: nasce la Repubblica Araba di Libia, di cui Gheddafi è il dittatore.

Nel 1976, pubblica il Libro Verde, in cui espone la sua idea politica di una “Terza Via universale”, alternativa al capitalismo e al marxismo: nel 1977 nasce quindi la Jamahiriyya, una “Repubblica delle masse” priva di istituzioni rappresentative (ma comunque soggetta alle dinamiche tribali e clientelari della Libia). La politica di Gheddafi fu, in ogni caso, ambivalente e opportunistica: fu inizialmente vicino a Nasser e al Panarabismo (sostenendo l’OLP e l’Unione siro-egiziana), al Nazionalismo e al Socialismo arabo (nazionalizzando le imprese e confiscando i beni degli occidentali), spostandosi poi su posizioni filoislamiche e panafricane (sostenendo i dittatori Amin Dada e Bokassa). Nonostante le riforme in senso socialista ed egualitario (riforma agraria, opere pubbliche, diritti sociali, secolarizzazione ed emancipazione femminile), il regime non riuscì mai a ricomporre le fratture religiose e sociali, alienandosi soprattutto il consenso del clero islamico e dei leader tribali ostili.

Negli anni ’80 si guadagnò il titolo di “Stato canaglia” per il supporto offerto al terrorismo internazionale: venne ritenuto tra i responsabili di numerosi attentati nel mondo (tra cui la strage di Fiumicino). Nel 1986, fu tra i finanziatori di un grave attentato a Berlino Ovest, oltre ad aver causato uno scontro a fuoco con navi statunitensi nel Golfo di Sirte: la reazione di Reagan fu l’operazione El Dorado Canyon, che colpì la residenza di Gheddafi a Bab al-Aziziyya. Il Rais, tuttavia, venne avvisato dall’allora Presidente italiano Craxi, e riuscì a fuggire. Di lì a poco, Gheddafi venne accusato di essere coinvolto nell’attentato di Lockerbie con il dirottamento del volo PanAm 103, il più grave attentato mai commesso prima dell’11 Settembre. Le Nazioni Unite stabilirono quindi un duro pacchetto di sanzioni contro la Libia, che venne sottoposta ad embargo fino alla consegna dei responsabili e all’assunzione della propria responsabilità negli attentati.

Negli anni Novanta cominciò la normalizzazione internazionale della Libia: il primo atto di inclusione nel sistema globale di la condanna che Gheddafi rivolse all’invasione del Kuwait decisa da Saddam Hussein nel 1991. Una seconda tappa fondamentale di il largo sostegno che il Rais rivolse a Nelson Mandela nella lotta all’apartheid. Notevole inoltre è stato il contributo di Gheddafi alla costituzione dell’Unione Africana, di cui fu uno dei principali animatori. Infine, nel 1999, il dittatore libico si unì alla comunità internazionale nella condanna al jihadismo globale e ad Al Qaida. La normalizzazione culminò con il ripristino delle relazioni diplomatiche con gli USA nel 2006.

Il rapporto di Gheddafi con l’Italia è stato da sempre controverso: uno dei primi provvedimenti presi quando era al potere fu l’espulsione e l’espropriazione dei beni di 20mila italo-libici, con cui intendeva restituire al popolo libico le ricchezze di cui si erano appropriati i colonizzatori italiani. Il 7 ottobre di ogni anno, dal 1970, si celebrava il “Giorno della Vendetta”, fino a che, nel 2004, Gheddafi e l’allora premier italiano Silvio Berlusconi, annunciano di voler cambiare il nome della Giornata nella “Festa dell’Amicizia” tra i due popoli (iniziativa che però non ebbe seguito). Con la politica filoaraba di Bettino Craxi, si ripristinò un canale diplomatico tra l’Italia e l’ex colonia, anche se restano ancora opache le dinamiche che vedrebbero Gheddafi coinvolto nella strage di Ustica e in altri attentati sul suolo europeo. Nonostante questo, specialmente dagli anni Novanta in poi (con la normalizzazione internazionale del regime libico), la cooperazione tra i due paesi crebbe notevolmente, dal controllo postale alla gestione dell’immigrazione, nonostante le accuse (fondate) che vennero rivolte sin dal 1999 a Gheddafi di tortura e trattamenti inumani a cui venivano sottoposti i migranti africani che l’Italia respingeva in Libia. Un’immagine particolarmente suggestiva del rapporto tra Gheddafi e l’Italia è sicuramente quella della tenda del Colonnello issata a Villa Pamphili, quando nel 2009, in qualità di Presidente dell’Unione Africana, fece visita a L’Aquila dopo il terremoto e a Roma come ospite del G8. Fu una delle ultime tracce del ritrovato ruolo di Gheddafi nella comunità internazionale, prima che il regime venisse travolto violentemente dalle fratture politiche, economiche, sociali e religiose detonate con le Primavere Arabe, a cominciare da Bengasi e poi estesesi a tutta la Libia. In conclusione, riportiamo le parole “goliardiche” espresse dopo la morte del Raìs dall’ex deputato leghista Mario Borghezio: «era un figlio di puttana, ma era il nostro figlio di puttana».

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