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Immagine del redattoreLuigi Gattone

L’odio

«Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: "Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio.

Questo il celeberrimo incipit di «Le Haine» (L’Odio) di Mathieu Kassovitz, uscito il 31 maggio 1995 nelle sale francesi, dopo aver ottenuto il Premio alla Miglior Regia al Festival di Cannes.


Il film, evidente omaggio al cinema neorealista, trae spunto dalla reale uccisione di un ragazzo di periferia da parte delle forze dell’ordine (motivo per cui fu duramente contestato), ed offre uno spaccato crudo e veritiero della vita di strada: criminalità e violenza, droga, conditi di cultura urban e hip hop, da cui il film è influenzato e su cui avrà influenza; ancora, per rendere ancora più reale la rappresentazione, in lingua originale il film è girato in Verlan (da “à l'envers”, al contrario, cioè invertendo le sillabe), slang tipico delle banlieue.


Ciò che manca del Neorealismo è il supporto ideologico: la prospettiva non è più quella “di classe”. I protagonisti non sono ascrivibili ad una classe (in senso marxista), riflettendo i cambiamenti della transizione alla società postindustriale.


Così anche l’Odio: «Odio chiama Odio», recita Hubert, ma anche questo non è più “politico”, è viscerale, insensato. Un Odio frutto di rappresentazioni, etichette che si riflettono su di sé e sugli altri: i giornalisti cercano nelle banlieue “una storia strappalacrime” di cui i ragazzi di strada sono comparse (come animali allo zoo di Thoiry); i ragazzi del centro vengono disprezzati perché virtualmente simboli della borghesia plastica e snob; Vinz vuole fare il criminale, ottenere rispetto e uccidere un poliziotto per “pareggiare i conti”, ma pur avendone occasione si rifiuta di premere il grilletto, e sarà il suo opposto, il calmo e riflessivo Hubert, a farlo.


L’Odio è una storia di contraddizioni e rabbia, critica sociale e razzismo, di rivoluzioni senza sbocco perché la lotta è fine a sé stessa: “la storia di una società che precipita”, ancora attualissima dopo quasi trent’anni.


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