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Immagine del redattoreCarlo Miglior

Il Regno Unito nel CPTPP, quali prospettive future?

Il Regno Unito nel CPTPP, quali prospettive future?

Il 31 marzo 2023 il Regno Unito, guidato dal Premier Rishi Sunak, ha raggiunto l’accordo per entrare ufficialmente come membro nel Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership, “Accordo globale e progressivo per partenariato transpacifico”, un accordo commerciale tra 11 paesi della regione: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Esso rappresenta circa 500 milioni di persone e poco più del 13% del PIL globale. Tale accordo rappresenta l’evoluzione del Trans-Pacific Partnership, fortemente voluto dalla Presidenza Obama per perseguire il suo disegno di “Pivot to Asia-Pacific”, ma mai entrato vigore vista la mancata ratifica agli accordi da parte degli Stati Uniti d’America stessi sotto l’Amministrazione di Donald Trump nel 2017.

Il Regno Unito, dopo una fase di negoziati durata circa 2 anni; la richiesta ufficiale di adesione avvenne nel 2021 sotto l’Amministrazione Johnson, si attesta così ad essere il 12esimo paese membro del partenariato commerciale e il primo paese del continente europeo ad entrare ufficialmente in tale accordo di libero scambio.


Da un punto di vista prettamente economico ci si domanda quanto questo accordo possa rappresentare un successo per l’economia britannica viste l’importante distanza geografica che separa il Regno Unito e la regione dell’Indo-Pacifico, nonché i già conclusi, precedentemente a questa data, accordi di libero scambio con 9 degli 11 paesi membri.

Coloro che criticano questa manovra puntano il dito proprio in questo senso: si stima che in 15 anni l’adesione del Regno Unito a tale accordo porterebbe a un aumento del PIL britannico soltanto dello 0,08%. Inoltre, anche alla luce di questi dati, c’è chi ritiene che una scelta di questo tipo non potrà bilanciare la perdita economica subita con Brexit, che, secondo Richard Hughes, presidente dell’Office for Budget Responsibility, sia stata di circa il 4% del PIL britannico.


Chi invece sostiene questa scelta sono gli “hardcore brexiteers”, che negli anni più recenti hanno alimentato la narrativa di poter vedere rinascere l’idea di una “Global Britain” successiva alla Brexit, grazie alla maggiore libertà di concludere accordi commerciali, come sottolineato dallo stesso Sunak.

La cosa oggi più evidente è la legittimità politica che il paese sta cercando di darsi all’interno del contesto Indo-Pacifico, come ben indicato nell’”Integrated Review” del governo britannico del 2021 e rinnovata a inizio 2023, con scopo, in larga parte, di contenimento cinese. Con le ultime amministrazioni conservatrici il Regno Unito ha messo in atto una più stretta cooperazione con organizzazioni regionali come l’ASEAN e una maggiore cooperazione in materia di sicurezza e difesa, come l’invio nel teatro indo-pacifico nel 2021 della portaerei HMS Queen Elizabeth per esercitazioni militari congiunte con unità della marina statunitense. Londra è consapevole di poter agire su larga scala un ruolo solo al fianco degli USA. In questo senso si veda il recente incontro in California, lo scorso 13 marzo, tra Sunak, Biden e il premier australiano Albanese, per rinnovare quanto stabilito dall’accordo AUKUS tra i 3 paesi nel settembre del 2021, avente come obiettivo la fornitura di sottomarini a propulsione nucleare da parte di Londra e Washington a Canberra.


Seguendo questa logica, in ultimo, Londra andrebbe a incrementare un orientamento negativo nei confronti della richiesta di adesione alla stessa CPTPP da parte della Cina, uno dei 5 paesi candidati a divenire membri dell’accordo commerciale, oltre a Taiwan, Ecuador, Costa Rica e Uruguay. Si ritiene, infatti, che Londra si allineerà alle resistenze poste dai paesi membri nei confronti di Pechino, che obiettano alla Repubblica Popolare cinese una mancata conformazione al rispetto delle norme commerciali internazionali esistenti e di non essere una vera e propria economia di mercato. La qual cosa complica anche l’adesione di Taiwan, che, seppure abbia i requisiti politici per l’adesione, ad oggi i paesi membri non si sono assunti il rischio di ammettere al blocco commerciale, visti i complicati rapporti che intercorrono tra Taipei e Pechino.

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