La formazione del nuovo governo spagnolo presieduto ancora una volta da Pedro Sanchez è un obrobrio e non c’entra nulla quale sia la parte politica che si supporta.
L’elezioni spagnole avvenute a luglio (potete cercare anche all’interno del nostro profilo) avevano visto la vittoria del Partito Popolare di Feijòò, che aveva superato di quasi due punti percentuale il Partito Socialista di Sanchez.
Ovviamente, Re Felipe aveva affidato un mandato esplorativo al leader dei popolari che nonostante un accordo con la “destra radicale” di Vox (arrivata 3’ con il 12%) non era riuscito ad ottenere una maggioranza.
Il mandato, passato successivamente ai socialisti aveva trovato comunque difficoltà di esecuzione. Questo fino all’accordo tra Sanchez e gli indipendesti catalani.
Fin qui tutto nella norma: è il gioco della democrazia. A destabilizzarci però è il motivo dell’accordo: Junt’s avrebbe dato supporto a Sanchez nel caso in cui il leader socialista avesse garantito l’amnistia a chi nel 2017 aveva indetto il referendum per l’indipendenza.
A criticare Sanchez è il suo stesso predecessore Gonzales che attacca gli accordi con l’indipendentista Carlos Puidgemont - trattati in Belgio poiché se entrasse in Spagna verrebbe arrestato - come “non necessari”. L’ex leader ha anche detto che “(gli indipendentisti) ci stanno obbligando a chiedere perdono, non solo a cancellare i crimini”, apostrofando il leader indipendentista come “latitante”.
Cercare appoggi per governare è lecito ma non svendendo la giurisprudenza e le regole dello Stato in favore di chi vorrebbe sovvertire l’ordinamento della Spagna.
Continuano le proteste di piazza e ci resta solo una cosa da dire: buena suerte España.
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