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Immagine del redattoreTommaso Rossi

I giovani e l’astensionismo.

Mancano ormai solo 11 giorni alle prossime elezioni politiche. È tempo di silenzio elettorale, per quanto riguarda i sondaggi, ma non per quanto riguarda utopie, promesse irrealizzabili e scontri puerili. Giorgia Meloni che ci ricorda come, se vincerà, per l’Europa sarà “finita la pacchia” (ottimo modo per gestire le pressioni finanziarie dei mercati in un paese con il 160% di rapporto debito/Pil); Enrico Letta che domenica viene lasciato a piedi dal suo bus Elettrico (d’Annunzio e le sue Alfa sarebbero fieri di lui) dimostrando ancora una volta la caratura e la stoffa politica, insomma, gli occhi della tigre.

Che pena.

In tutto ciò ci sono i giovani. Questa categoria antropomorfa – si crede – ma che tale non è per le paghe e le condizioni lavorative da Uganda di Idi Amin, viene sovente nominata e citata da qualsiasi leader politico per sperare di accattare qualche misero voto in più in una campagna elettorale che peggio non può andare. Ci siamo svegliati settimana scorsa con il Salvatore Pes di Arcore, il mahatma Ghandi della guerra fredda, il pacere del novecento, insomma con il Cavaliere che sbarca su Tik Tok con le sue pillole quotidiane (e un siparietto con il figlio di Dudù che avrebbe fatto addolcire persino Nerone), Enrico Letta che spara a mille con la dote giovani che sembra più una proposta alla Cetto la Qualunque e i 5 stelle che mi mettono in guardia da “Giorgia Meloni che se rifiutate un lavoro vi scheda e vi sanziona”. Nemici dell’erede temete. Su Salvini ci rifiutiamo di commentare, è superfluo ormai.

Il punto è uno. Il tasso di astensionismo giovanile è cresciuto dal 9% del 1992 al 38% del 2018 passando dalla generazione che si asteneva di meno a quella che si astiene di più, dato questo destinato inevitabilmente ad aumentare. Si crede che con dei video su tik tok o con delle doti Lettiane stile piani quinquennali si risolvano i problemi? Secondo recenti studi, i giovani disertano le urne principalmente per mancanza di fiducia nel sistema, nei partiti e nei candidati. Ma un altro dato è fondamentale considerare: circa il 22% dei giovani è fuorisede e , non essendoci una legge a tutela del voto a distanza, circa 1⁄4 dei potenziali votanti viene già escluso. Alla faccia della democrazia.

I giovani ormai hanno preso coscienza - più eruditi e intellettualmente preparati dei loro avi, ma anche più poveri - dei loro diritti e di ciò che vogliono: preferiscono non lavorare che lavorare sottopagati, lavorare meno per lavorare meglio, e soprattutto che vengano riconosciuti diritti che certi boomer faticano a concedergli.

L'attività che essi svolgono non è più partitica, ma politica sicuramente si. Nei partiti, visti come un centro di impantanamento di idee e speranze, il giovane non so ritrova più, e cerca nuovi modelli di partecipazione politica, che siano un corteo, una manifestazione o una associazione culturale. La crisi dei partiti è sotto gli occhi di tutti, ma la mancanza di appeal che questi hanno verso i giovani induce a riflettere. Che destino avranno? Quali le prossime forme di rappresentanza? Quali i futuri tramite tra elettorato attivo e passivo?

Che queste elezioni siano una definitiva cesura? Vedremo, nel frattempo godiamoci un contratto a termine sottopagato e programmi con il 96% di misure prive di copertura finanziaria.


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