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Immagine del redattoreMichele Carrani

Henry Kissinger: l'Andreotti americano.

Nella notte è venuto a mancare un’esponente storico della politica americana ed internazionale: Henry Kissinger.



Scomparso all’età veneranda di cent’anni, la sua figura è una delle più note tra quelle del secolo scorso, talvolta, e non poco, discussa.

Nato in Germania e fuggito a Londra a fine anni trenta a causa delle persecuzioni nei confronti degli ebrei, arriva poi negli Stati Uniti d’America dove impara in fretta la lingua e inizia il suo percorso accademico ad Harvard, che lo porta a diventare professore nello stesso nel 1959.


La sua carriera politica inizia dopo l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, quando inizia a collaborare con il Presidente democratico Lyndon Johnson attraverso incarichi legati– e mai ascoltati – alla guerra in Vietnam.


Esperto di politica internazionale per il candidato alla convention dei Repubblica Nelson Rockefeller, diventa successivamente consigliere di Richard Nixon dopo la vittorio alle presidenziali del 1969. Uno dei più grandi esponenti della “real politik”, Premio Nobel nel 1973 – insieme a Lê Đức Thọ - per il cessate il fuoco tra statunitensi e vietnamiti a seguito delle trattative di pace a Parigi dello stesso anno.


Henry Kissinger è accreditato nel coinvolgimento del colpo di stato cileno del 1973, avvenuto per mano di Augusto Pinochet. Ha sempre sostenuto di essere estraneo a ciò che è successo in Cile, ammettendo però le sue responsabilità nella destabilizzazione dello stesso.


Continua la sua carriera nonostante lo scandalo Watergate poiché risultato estraneo allo stesso. Infatti, mantiene l’incarico di Segretario di Stato anche sotto l’amministrazione di Gerald Ford. In quel mandato si è reso protagonista nell’appoggio delle forze militari anticomuniste in Angola e Mozambico e ha giocato un ruolo fondamentale nella fine del regime razzista in Rhodesia.


Politico di grande spessore, chiude la sua carriera politica alle fine del mandato presidenziale di Gerald Ford a causa della vittoria del democratico Carter e per le successive presidenze in seno ai repubblicani – quelle di Ronald Reagan e quella di George Bush – in quanto neo conservatori e contrari alla “real politik”.


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