L’importanza della Prima alla Scala è planetaria per coloro che navigano nel mondo del teatro e della lirica.
Il “gioco della sedia”, francamente, fra Sala e La Russa lascia il tempo che trova. Il Don Carlo di Verdi regala come sempre emozioni date dall’intensità e dalla mestizia della trama rispecchiate dalla densità del suono dell’orchestra diretta magistralmente dal Direttore R. Chailly. Sia però talvolta concessa una critica alla regia e al cast, definito “stellare”.
La prima è stato “omaggiata” da qualche “buu” di protesta per via di una scena fin troppo statica, appesantendo il clima di un’opera non proprio sprizzante di felicità; scatenando l’eterna polemica fra regia innovativa o tradizionale. Certo non si chiede tripli salti mortali, ma di sicuro un pizzico di creatività in più sarebbe stata apprezzata. Il secondo, invece, non sembra aver reso al 100%, complice qualche acciacco dovuto a ritmi di prove estenuanti ed agli stress emotivi che provoca, comunque, la Prima alla Scala.
Vedasi l’annuncio del Sovrintendente D. Meyer per proteggere il malanno alla gola del povero basso M. Pertusi, compreso e aiutato dal calore del pubblico. Pubblico, che come sempre, si è “imbellettato” a festa per l’occasione, lasciandosi andare a commenti infelici, ad esempio la scintillante Vanoni (“4 ore sono troppe”)… Qui, meglio non commentare.
In ultimo, chi scrive lo fa con mero intento provocatorio, si noti il trittico di regimi statali invocati: Viva VERDi (monarchia), antifascismo (e di converso il fascismo, dittatura) ed Inno di Mameli (inno della nostra REPUBBLICA).
Bene, ma non benissimo.
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